L’arcobaleno di Mia
Flavio è felice dell’acqua calda quando fuori fa freddo. Liv vuole costruire una torre altissima con i suoi mattoncini di legno. Leo freme per spingere la mia carrozzina solo per vedere girare quelle ruote giganti. Ale -Skywalker- desidera lisciare i miei capelli di un rosso improbabile.
Loro sono pieni di desideri, ma non ne sono ancora intossicati. Sono dei professionisti del desiderare.
Il fatto non è che desiderano “poco“ o “soltanto qualcosa“ e quindi si accontentano. Al contrario.
È che loro sanno desiderare e basta.
Riescono a lasciare che i propri desideri prendano tutto lo spazio di cui hanno bisogno. Non schiacciano qualcosa solo perché è un dettaglio. Non hanno fretta di passare direttamente a ciò che viene dopo. Si soffermano su ogni passo, fin da quel primissimo, intransigente desiderio.
Certo, la praticità della vita quotidiana impone a noi adulti di occuparci di quell’oltre che, nei desideri dei bambini, manca del tutto. Ma, prima di qualsiasi oltre, ci deve pur essere stata un’origine di qualche tipo, minuscola o gigantesca, delicata o fortissima, istantanea o graduale. Allora perché, crescendo, ce ne dimentichiamo?
Ė come se fossimo punti da una spina avvelenata e quella parte così attiva e potente dei nostri desideri si ammalasse. A volte, da grandi, la nostra volontà sembra corrotta da quel veleno. Le parole desiderio e felicità diventano quasi concetti astratti. Proprio come se non avessero nulla a che vedere con queclla concretezza che deve necessariamente caratterizzare gli adulti e i maturi. Come se desiderare ci rendesse automaticamente degli eterni Peter Pan. Invece desiderare non è un sinonimo di fantasticare.
Non riuscire a raggiungere ciò che si desidera può essere molto frustrante, verissimo. Forse per questo, a volte, ignoriamo il desiderio di partenza quando il risultato non ci piace.
I bambini, invece, sanno ancora desiderare e sanno desiderare bene. Per questo sono tanto potenti e disarmanti.
In fin dei conti, come dice Coelho: «Un bambino […] può sempre insegnare a un adulto a prendere con ogni sua forza quello che desidera». Eppure, bambini lo siamo stati tutti.
Troppo spesso ho paura di desiderare a pieni polmoni, il che mi impedisce di capire a cosa potrei arrivare davvero. Una giorno ho parlato con un alpinista, che, però, amava anche solo passeggiare in montagna. Saliva e saliva, a ogni passo si godeva l’aria fragrante, la vegetazione inconsueta, si stupiva ogni singola volta del cielo che mutava, pur avendo assistito ad almeno altre cento di quelle manifestazioni. Il suo obiettivo era sicuramente quello di raggiungere la vetta, ma era il suo obiettivo ultimo, in mezzo ce ne erano tanti quanti i propri passi. Non ci pensava assolutamente durante l’ascesa, anzi; mi raccontava che, in un paio di occasioni, in cui si era dovuto sbrigare a salire, arrivato in cima, gli era parso di non avere mai iniziato. Si era guardato attorno, dalla sommità, senza riuscire a percepire né la distanza né l’altezza. Si sentiva vuoto e non pieno, senza fiato e non più ricco, come in altre circostanze. Deve essere così che capita ai bambini: loro centrano sempre il bersaglio, ma non perché ci pensino fin dall’inizio, non perché ne siano ossessionati, ma, al contrario, perché sviluppano ogni singolo passo e ogni singolo passo è, di volta in volta, il loro unico e più grande obiettivo.
Mi è successo di farmi ingannare dalla minaccia o dalla seduzione dell’oltre, oppure di lasciarmi affascinare dalle sue attrattive, immaginando subito quel poi, senza prendermi nemmeno un momento per desiderare e basta.
Ho desiderato ardentemente luoghi e persone, ma quello che avevo in mente era il dopo, ho saltato a piè pari quello che stava in mezzo, sicura di conoscere perfettamente l’esito di quel desiderio iniziale, che, invece, non sono stata capace di godermi fino in fondo.
Ciò che rende felici Flavio, Liv, Leo e Alessandro non sono entità magiche impossibili da conquistare. Tutt‘altro.
Per loro, quei desideri, quella felicità, sono qualcosa di sostanzioso, con piena dignità. Qualcosa che ha bisogno di tempo e di spazio per essere apprezzata e compresa, che non deve essere bruciata. Loro fondano i propri desideri su basi tangibili, su cose che conoscono e che nutrono la propria realtà. Lo fanno istintivamente.
Forse i desideri migliori sono quelli che assomiglianoall’arcobaleno di Mia, che, alla base, non ha fantomatici denari e magiche pignatte di monete d’oro, ma solide e concrete nuvole bianche.
Grazie Flavio, Leo, Liv, Ale, Mia e grazie anche a tutti coloro che sanno ancora desiderare e basta.